“Vorrei una famiglia nuova”…desideri e paure dei bimbi che vivono in comunità. Storia di P.

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P. arriva in comunità all’età di 4 anni insieme alla sorellina più grande e il fratellino più piccolo. P. non sa cosa gli succede intorno, si ritrova qui, in questa nuova casa, con delle persone che non conosce, in un posto non familiare per lui. Cosa vogliono questi nuovi adulti da lui, P. non è abituato alle regole ma non solo: non è abituato alle attenzioni di un grande, non è abituato a mangiare tutti i giorni, ad andare a scuola regolarmente. Non è abituato ad avere qualcuno che si preoccupa per lui, che lo aiuta nel lavarsi, nel vestirsi, che gli chiede come sta, che gli compra un giocattolo, che gli chiede cosa gli piace, che lo mette a letto e gli racconta una storia e addirittura gli da il bacio della buona notte e gli rimbocca le coperte.

Nella vita di P. ci sono solo botte, non considerazione, nessun abbraccio e nessuna attenzione particolare. Qualche volta mangia si, ma il più delle volte deve dividere il suo piatto con i fratelli, ha qualche gioco si, ma non è proprio il suo, non lo ha mai scelto, nessuno gli ha mai chiesto cosa volesse per Natale, o se preferisce organizzare qualcosa di particolare per il suo compleanno.

Non esiste P., eppure strano un così bel bimbo, così vispo, non esiste, non è visto, è molto probabilmente solo un fastidio, un peso. P. non ha colpe per tutto questo, né lui né i suoi fratelli ne hanno, ma quanto è sofferente.

P. arriva con questo bagaglio, lui da qualche parte dentro di sé sente il dolore provocato da quanto ha vissuto finora, ma non riesce ad esprimerlo. E’ troppo difficile per lui, per P. gli adulti sono così, è questo il modo di voler bene ad un bambino, non un altro. Il grande picchia, insulta, urla, non è accogliente, caldo, premuroso.

P. è molto arrabbiato, quando si trova davanti a situazioni per lui molto difficili si arrabbia tanto, mette sottosopra una stanza, piange, piange tanto. Qui, in questo posto nuovo, in questa nuova casa, sperimenta per la prima volta una cosa mai vissuta da lui:

l’adulto lo aiuta, lo incoraggia, che lo rassicura, l’adulto che c’è, che lo riconosce, che è pronto a sostenere anche la sua rabbia, un adulto di cui potersi fidare.

P. non è molto convinto che questo adulto manterrà questo atteggiamento per così tanto tempo, per lui i grandi alla fine finiscono sempre per picchiarlo, perché così fanno tutti, per cui li sfida, li sfida tanto, è quasi certo che prima o poi anche questi grandi che si dimostrano diversi alla fine si comporteranno come quelli che ha conosciuto.

Il tempo passa, e P. inizia a convincersi che forse si sbaglia, che forse veramente ci sono grandi diversi, che si preoccupano per lui, che si interessano, che gli vogliono bene è inizia a sperimentare quello che non aveva mai vissuto finora: un legame significativo con qualcuno di cui ci si può fidare. P. non smette di arrabbiarsi quando c’è qualcosa che per lui non è giusta, o che non va ma adesso sa che c’è qualcuno pronto ad aiutarlo. Questi operatori somigliano tanto ad una mamma e ad un papà però non sono proprio la stessa cosa.

Dentro P. nasce il bisogno e il desiderio di due genitori che si prendono cura solo di lui e dei suoi fratelli, nasce il bisogno di avere una casa diversa.

Dopo un po’ di tempo arriva in comunità una coppia di genitori scelti proprio per loro tre, P. ne è felice, ma anche tanto preoccupato e spaventato, non sa chi sono, come sono, come si comportano. E se sono come i genitori che ha conosciuto? Se non riusciranno a prendersi cura di lui come fanno gli educatori in comunità? Se quando mi arrabbio e faccio guai poi mi picchiano? Dentro di lui nascono tante domande lecite che attraverso la conoscenza, la frequentazione di questi due nuovi genitori piano piano trovano risposte.

L’esperienza di un legame fatto in comunità, gli ha consentito di poter sviluppare dei nuovi legami significativi e finalmente potersi vivere questa famiglia tanto desiderata e attesa.

P. è solo un dei tanti bambini che arriva in comunità, attraverso il lavoro svolto dagli educatori è stato possibile dare a lui, come anche a tanti altri, un modello educativo, affettivo di riferimento diverso da quello che hanno fino quel momento sperimentato.

Tale esperienza gli ha consentito di darsi e dare una seconda possibilità alla propria vita. Molto probabilmente non dimenticherà la storia da cui proviene ma con un buon lavoro è riuscito a mettere al proprio posto dei tasselli della sua vita, arrivando alla conclusione che non è colpa sua e che molto spesso, purtroppo, non tutti i grandi riescono a prendersi cura dei più piccoli, i quali sono costretti a subire le conseguenze di scelte sbagliate.

 

Denise Basile

Psicologa-Psicoterapeuta

APS Newid