Il valore della solitudine: una risorsa

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Essere soli oggi, in un mondo fatto di continue connessioni, sembra quasi impossibile. Eppure scrutando nei meandri del web ci si ritrova a confrontarsi rispetto a un dilemma contemporaneo: siamo sempre più soli?

Possiamo riflettere oggi su quale solitudine ci troviamo ad affrontare, che cosa significa essere soli, che valore diamo alla solitudine. È essa negativa? È una forza?

Pensandoci e confrontandosi con persone e letture sul tema, non appare una risposta univoca, ma sembra che per ognuno di noi la solitudine abbia un significato diverso.

Possiamo concentrarci ora sugli aspetti di risorsa che la solitudine ha, su quale valore può avere nella vita di ogni essere umano. Iniziamo da una citazione del poeta Rainer Maria Rilke, in un’importante raccolta di lettere intitolata “Lettere ad un giovane poeta”:

“Necessaria è una cosa sola: solitudine, grande solitudine interiore. Volgere lo sguardo dentro sé e per ore non incontrare nessuno: questo bisogna saper ottenere. Essere soli come eravamo soli da bambini, quando gli adulti andavano e venivano, compresi di cose che parevano importanti e grandi perché i grandi sembravano tanto affaccendati, e perché del loro agire non capivamo nulla.”

La solitudine, a partire dalle parole del poeta austriaco, è una forza, o ancora meglio, una capacità dell’essere umano di guardare dentro se stesso. L’invito è di non cercare fuori le conferme del proprio valore ma trovarlo a partire dal proprio desiderio, dalla propria inesauribile voglia di conoscere e amare la Vita.

“Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro, in cui la determinazione che i grammatici chiamano soggettiva, cioè che egli desidera in quanto Altro (ciò costituisce la vera portata della passione umana). Ecco perché la questione dell’Altro, che ritorna al soggetto dal posto dove questi ne attende un oracolo, nella formazione di un Che vuoi?, è quella che meglio lo conduce alla strada del proprio desiderio.”

La domanda di cui parla J. Lacan, quando cerca di darci una definizione del desiderio, “che vuoi?” sembra posta all’Altro, a una persona in relazione con noi, ma ad un occhio più attento è nella propria solitudine, nel confronto con se stessi che questa domanda riceve importanza. Non possiamo non porci in ascolto di quello che ognuno di noi vuole, di quanto quello che si vuole si fa necessità di vita che ci aiuta a condurla in modo sincero e autentico.

A partire da questo vuoto-pieno di possibilità, che è la solitudine, possiamo relazionarci con il mondo, con gli altri, senza diventarne schiavi, incapaci di affrontare i sentimenti di dolore che ogni passaggio di crescita ci richiede. Qui possiamo riflettere sulla nostra forza, che diventa accettazione della fragilità, di essere soli nel mondo, ma capaci di muoverci più intensamente nelle relazioni a partire dalla conoscenza dei propri desideri. In un mondo iperconnesso, il nostro attuale mondo che ci porta a scansare i legami, a vedere la dipendenza dagli altri come patologica e non come risorsa di crescita, possiamo “garantire” la nostra crescita e quella dei nostri figli grazie all’accettazione del nostro essere soli e perciò capaci di riflettere su quello che sentiamo e vogliamo.

“Dagli uomini”, disse il Piccolo Principe, “coltivano cinquemila rose nello stesso giardino… e non trovano quello che cercano” “E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua”… “Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore”

  

Dott. Nicola Caruso,

psicologo APS Newid