Il “ritmo” in terapia. Tra pause e riprese.

>
blog
CONDIVIDI
CONDIVIDI
INVIA TRAMITE MAIL
TWEETTA
INVIA AD UN AMICO

Quando si parla di “ritmo” si fa riferimento per lo più alla musica o alla danza. Se cerchiamo questa parola sul dizionario leggiamo: “successione ordinata secondo una certa frequenza di una qualsiasi forma di movimento che si svolga nel tempo”. Non credete che tale significato è perfettamente idoneo anche al processo terapeutico?

In fondo la terapia è costituita da una serie di incontri, “ordinati”, secondo una certa logica e obiettivi. Inoltre, tali incontri si svolgono con una certa “frequenza”, il tempo è strumento essenziale.

Infine la terapia, proprio come una danza, è costituita da un movimento costante di due o più individui in relazione.

Esattamente come in una danza, i movimenti cambiano nel tempo, adattandosi alla successione di note, cercando di “andare a ritmo” appunto.

La danza è una delle forme più perfette di comunicazione con l’intelligenza infinita,

Paulo Coelho

Ma cosa succede al processo terapeutico durante le pause, le interruzioni? Si fa riferimento ai periodi in cui la terapia si ferma per poi riprendere dopo un tempo stabilito: il periodo estivo, le vacanze di Natale, eventuali gravidanze, ecc…

In questi momenti il ritmo solito, dato dalla cadenza, per lo più precisa e stabile, degli incontri, cambia tono. Paziente e terapeuta devono prepararsi ad una lunga interruzione.

Queste pause rappresentano spesso un momento di svolta nel processo terapeutico. Sono i momenti in cui si verificano con più frequenza i drop out (una brusca chiusura della terapia dovuta alla fuga del paziente). Sono periodi vissuti da molti pazienti con grande difficoltà: ansia, senso di abbandono, paura di non farcela ad attendere, sono le sensazioni più diffuse.

Eppure il tempo di sospensione diventa strumento utile alla terapia. Offre una sorta di sperimentazione, una messa alla prova del processo stesso. E’ indicatore dell’elasticità, della forza e della fiducia presente nella relazione tra terapeuta e paziente. Consente di tenere a bada la possibile dipendenza, favorisce l’individuazione.

Se obiettivo generico di ogni terapia è rendere il paziente in grado di fare a meno del terapeuta, una lunga pausa permette di riflettere e verificare a che punto è il processo.

E al ritorno, la danza riprende ad un ritmo differente da quello presente prima della pausa. 

Il tempo di sospensione ha, in un modo o in un altro, messo il paziente a lavoro e quando egli rientra, è dalle differenze che si può ripartire.

Dott.ssa Federica Visone

Psicologa-Psicoterapeuta

APS Newid