Gli attacchi di panico sono, tra le manifestazioni d’ansia, quelli maggiormente diffusi in particolar modo nei giovani e giovanissimi. L’etimologia della parola panico, ci indica che proviene dal greco“panikos”, aggettivo di Pan, una divinità metà uomo e metà caprone. Questo Dio, che viveva nei boschi, amava disturbare le ninfe e i viandanti nei loro passaggi, sbucando fuori improvvisamente e terrorizzandoli per poi scomparire. Talvolta, era così spaventoso che egli stesso iniziava a scappare.
Con il termine “panico”, dunque, si intende un terrore improvviso che annulla la ragione.
A partire dal significato etimologico, è possibile comprendere la sensazione vissuta da chi soffre di attacchi di panico. Si tratta di un forte e breve episodio di ansia che sopraggiunge “all’improvviso”, accompagnato da preoccupazione, paura, pensieri di morte imminente, e sintomi fisici come tachicardia, sudorazione, dolori al petto, disturbi addominali, sensazioni di asfissia e svenimento.
Quando l’attacco di panico sopraggiunge una prima volta, spaventa così tanto la persona da farle evitare luoghi o situazioni simili a quella in cui il panico si è presentato e a temere che possa tornare da un momento all’altro. Ciò conduce ad evitamento e chiusura, vengono ridotte tutte le attività e le relazioni sociali, in particolare i momenti di svago. Di conseguenza, all’aumentare dell’evitamento, cresce anche la paura e l’ansia connessa a ciascuna attività da svolgere. Come in un circolo vizioso, si manifestano dunque le condizioni favorevoli al ripresentarsi dell’attacco di panico.
Durante l’attacco di panico, la persona cerca rassicurazione da chi lo circonda ma nulla riesce a placare il senso di terrore. Spesso il soggetto prova a cercare spiegazioni a quanto gli sta avvenendo, collegando l’ansia a qualche evento particolare al di fuori di sé. In realtà, come la mitologia e la storia del Dio Pan ci indicano, la paura ed il terrore provengono dall’interno, dall’individuo stesso, connesse a questioni più profonde, a relazioni familiari basate su un attaccamento insicuro, a condizioni di vita in cui ci si sente “stretti” o “in gabbia”, incapaci di muoversi. Sono tutti aspetti variegati che nell’attacco di panico trovano il modo di rendere il malessere visibile alla persona.
È facile comprendere quanto, nell’attuale sistema sociale, siano i giovani i più colpiti, in quanto alle prese con l’instabilità delle relazioni, delle condizioni lavorative e spesso si sentono incapaci di fronteggiare i cambiamenti.
Provare a dare significato a queste questioni, rintracciare un filo logico ed emotivo nella nebbia generata dal panico, è fondamentale. Solo provando a fermarsi, guardandosi allo specchio, senza più scappare, si potrà comprendere che terrorizza solo ciò che è sconosciuto.
Dott.ssa Federica Visone
Psicologa-Psicoterapeuta
APS Newid