Perché non riesco ad esprimere le mie emozioni e a comprendere quelle degli altri?

>
blog
emozioni
CONDIVIDI
CONDIVIDI
INVIA TRAMITE MAIL
TWEETTA
INVIA AD UN AMICO

Può succedere, o è successo a tutti nel corso della propria esistenza, di rendersi conto che in alcune circostanze o in particolari situazioni, non si riesca, ad esprimere agli altri quanto si aveva dentro o si provi difficoltà a dire ciò che si sente, e di conseguenza a cogliere lo stato emotivo altrui.
Per comprenderne meglio le motivazioni,partiamo dal principio: cos’è un’emozione?
Il termine emozione deriva dal latino emovere (ex = fuori e movere = muovere), letteralmente “portare fuori”, “smuovere”. Possiamo definire un’emozione come qualcosa che sconvolge, la sensazione di essere smossi da ciò che si prova e che sembra provenire dall’interno.
Le emozioni hanno sia una funzione relazionale, che consiste nella comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche, sia una funzione auto-regolativa, ovvero la comprensione delle proprie modificazioni interne.
Ma perché succede che una persona presenta delle difficoltà in questa abilità? Perché non riesce a spiegare quello che prova, le sue sensazioni ed emozioni, e di conseguenza non è in grado di comprendere quelle degli altri?
Una possibile spiegazione di questa incapacità può essere fatta risalire allo sviluppo emotivo dell’individuo. Un buon sviluppo emotivo è strettamente legato ai vissuti infantili di attaccamento sicuro. Vivere all’interno di un contesto relazionale sicuro facilita il processo di integrazione di informazioni cognitive ed affettive. Fonagy (2001), studiando gli stili di attaccamento ha scoperto quanto questi abbiano una notevole influenza sullo sviluppo della capacità di regolare gli affetti. L’autore sostiene che la capacità di mentalizzare sia associata alla regolazione degli stati affettivi. Tale competenza si sviluppa solo se il bambino cresce all’interno di una relazione sicura con una madre capace di riflettere sui bisogni emotivi del bambino stesso, al fine di contenerli e nominarli. Quando la madre non riesce nella sua funzione di accoglimento e comprensione delle comunicazioni affettive del bambino, non è quindi in grado di contenere e modificare l’intensità della sua vita affettiva, lo stesso non viene aiutato nella sua crescita mentale, e ciò non gli consente di conseguire la capacità di sviluppare una rappresentazione mentale di un affetto. Grazie alla sintonizzazione con le emozioni del bambino, la madre, riesce a rispondere attraverso cure ed espressioni emotive, che concorrono ad ordinare e regolare la vita emotiva del bambino. La condivisione delle emozioni positive, con la sicurezza del primo ambiente familiare sono elementi fondamentali che influenzano lo sviluppo affettivo del bambino e la nascita delle rappresentazioni di sé e degli altri. Quando i genitori non riescono a comprendere gli stati affettivi del bambino e ad essere mediatori con l’esterno degli stessi, si può correre il rischio sviluppare un sintomo “alessitimico”. Il termine alessitimia, significa letteralmente “emozione senza parole” o “mancanza di parole per le emozioni” (dal greco alpha = assenza, lexis = linguaggio, thymos = emozioni), per riferirsi ad una difficoltà ad identificare, descrivere e comunicare verbalmente le emozioni.

Fonagy, P. (2001), Psicoanalisi e teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina, Milano 2002.

Dott.ssa Denise Basile
Psicologa-Psicoterapeuta
APS Newid